Tradizione Pitagorica e
Massoneria
Maurizio Nicosia
relazione tenuta al convegno l'arca vivente dei simboli
Rari gli abitanti della Sicilia orientale consapevoli che il loro codice
genetico continua a essere greco, come pochi, nel corpo massonico, consapevoli
che mente e cuore della massoneria sono tuttora pitagorici. Nel viatico che la
massoneria addita agl’iniziati è pitagorico il principio, ovvero il fondamento
razionale della conoscenza 1 e parimenti pitagorica è la meta, che nel
superamento metarazionale della dualità, dello spazio e del tempo, dunque di ciò
che esiste tra vita e morte, ha il proprio punto d’arrivo 2. Stessa origine ha
anche ciò che congiunge cuore e mente, il senso della misura che la tradizione
pitagorica prescrive nel pensare, nel sentire, nell’agire 3.
Come chiunque possa vedere cosa resta oggi della Grecia antica nella Sicilia
moderna, rovine di templi tra palazzi abusivi, è altrettanto facile constatare
cosa d’effettivamente pitagorico ancora vi sia nella massoneria d’oggi. Ma entro
alcuni simboli cruciali nel viatico massonico, fra tanti il pentalfa, la cui
coscienza sembrerebbe ormai smarrita 4, ancora pulsa intatto e in profondità lo
spirito pitagorico. Il rapporto tra Pitagorismo e Massoneria corre dunque sul
sottile filo dell’analogia, dell’affinità ideale e spirituale fondata sulla
persistenza d’una iniziazione che addita nella rigenerazione il compimento del
viatico. Basti nominare Reghini 5 tra coloro che con maggior limpidezza
sollecitarono a praticare il pitagorico fine del viatico massonico.
Ogni altro rapporto che non sia d’analogia e affinità, sia pur profonda, e
postuli filiazioni o derivazioni di varia natura va posto prudentemente tra i
sogni, i desiderî e le utopie, ad abissale distanza dai fatti documentabili.
Sarebbe anzitutto molto arduo e in primo luogo ingannevole postulare
l’ininterrotta continuità della tradizione pitagorica nel tempo, intesa come
Ordine iniziatico, quando fonti come Cicerone, Diogene Laerzio e Porfirio 6, per
fare alcuni autorevoli esempî d’età antiche, ne testimoniano lo svanimento. La
moderna storiografia ancora dibatte la questione della continuità del
Pitagorismo dopo la tragedia di Crotone 7, ma dal silenzio che avvolge il
sodalizio in età alessandrina è impossibile ricavare prove e documenti.
Se tuttavia intendiamo il termine ‘tradizione’ non quale ‘trasmissione
iniziatica ininterrotta e documentata, ma come trasmissione storica e
rivivificazione del rizoma pitagorico, o come insegnamento iniziatico che
trascende l’erosione del tempo e il suo moto verso l’oblio in virtù d’una
conquistata perennità, allora appare evidente che la tradizione pitagorica è un
fiume carsico che s’inabissa e riaffiora con flusso rapsodico parallelamente al
platonismo, con cui condivide le fortune e spesso l’identità 8.
Dove il Pitagorismo riaffiora germoglia come oasi una letteratura sapienziale,
magari apocrifa 9, all’ombra d’una ricomposizione delle disjecta membra che si
traduce in memorie biografiche e storiche, o in apologie. A Roma anzitutto, con
Nigidio Figulo 10, il pitagorico amico di Cicerone. Quindi con gli allievi di
Plotino, Porfirio e Giambico, che innestano il ramo d’oro pitagorico sul fecondo
fusto del Platonismo 11. Infine con Apollonio di Tiana, il taumaturgo. In età
imperiale le tonalità del Pitagorismo inclinano verso cromie magiche e occulte
12, e basta talvolta essere indicati come “matematici” per esser banditi dalla
città eterna 13. Connubio, quello tra scienze ‘esatte’ e ‘occulte’, che
costituirà il fulcro della philosophia naturalis e avrà seguito sino a tempi
relativamente recenti.
Altro affioramento cruciale nel Rinascimento: la sorgente pitagorica sgorga alla
confluenza delle tradizioni di mestiere, che filtravano dal cantiere
architettonico, con il recupero filologico e sapienziale delle fonti greche e
latine. Mentre gli architetti si lambiccano sulle proporzioni armoniche 14 per
intonare gli edifici all’universo, Pico della Mirandola non manca nelle sue
novecento tesi di svilupparne quattordici secundum Mathematicam Pythagorae, e
nell’Heptaplus suggerisce un nuovo innesto del ramo d’oro pitagorico sulla
sapienza ebraica 15, innesto che verrà amorevolmente coltivato dal suo
principale allievo di cabala cristiana, Johannes Reuchlin 16. Se dunque Roma è
decisiva nella congiunzione di Pitagora e Platone, e nella loro fermentazione
misterica, una nuova e quanto mai feconda equazione tra pitagorismo e cabala si
stabilisce con Reuchlin, anche se ne inverte il rapporto attribuendo il primato
alla dottrina delle sefirot 17. È in questo crogiuolo che giungono nuovamente a
maturazione numero e geometria come geroglifici dell’universo, come cosmogrammi,
insieme linguaggi sacri e legge universale: come cosmonomia.
Roma e il Rinascimento: questi dunque, per sommi capi, gli snodi della
tradizione pitagorica determinanti nella genesi e nello sviluppo della
massoneria speculativa che dalla stessa massoneria operativa ereditò alcuni
lasciti, principale dei quali il rigoroso culto della geometria, invisibile
castone d’edifici sacri e civili, sempre celebrata nei documenti normativi. Non
potendo adesso snudare in punta di compasso l’ossatura armonica
dell’architettura d’Occidente, ch’è comunque sovente solo indizio, per quanto
robusto, e non sempre prova certa d’una coscienza della tradizione pitagorica,
conviene volgere lo sguardo alle fonti, in primo luogo alle ‘costituzioni’
muratorie.
In esordio il Poema Regius 18, che non lambisce il Quattrocento e sembra
ignorare l’esistenza di Pitagora. Euclide lo sostituisce: in forma di protesi e
surrogato riveste la silhouette biografica del filosofo di Samo. Sembrerebbe
dunque testimonianza d’una rimozione o d’uno svanimento, eppure è testo
capitale, identificando sin dall’incipit 19 la massoneria con la geometria. In
luogo dei facili sorrisi che può suscitare la trama leggendaria del Poema Regius,
è da meditare uno dei suoi punti conclusivi, custodito nella sezione dedicata
all’Arte dei Quattro Coronati:
Gemetre the seventh syens hyt ysse,
That con deperte falshed from trewthe y—wys.
La Geometria è la settima scienza
Che può separare con certezza il falso dal vero.
These bene the syens seven,
Whose useth hem wel, he may han heven.
Queste sono le sette scienze.
Chiunque le adoperi bene può avere il cielo. 20
Mentre nel manoscritto Carmick 21 o nel dodicesimo grado del Rito di Perfezione,
per fare solo alcuni esempî, la geometria viene descritta com’è consueto quale
“arte della misurazione delle superfici” 22, il Regius le attribuisce la potestà
di separare con certezza il falso dal vero, cioè la celebra come disciplina del
giudizio. Le arti liberali si palesano come i sette pioli 23 della scala di
Giacobbe, coronati dalla geometria, settima perché più elevata. E questa scala
che s’eleva per gradi sfugge infine a ogni misurazione proprio attraverso la
geometria. Senza il senso della misura come si può esperire l’incommensurabile?
Nel Regius fondamento razionale del viatico pitagorico e il suo fine
metarazionale trovano nella geometria cardine e soglia.
All’“origine di tutte le arti liberali” è nel quattrocentesco manoscritto Cooke
24 la geometria: l’appello è vòlto come nel Regius a nobilitare la scienza delle
costruzioni attraverso un tessuto storico mitico che si radica nella Bibbia, e
individua dunque in Iubal, uno dei figli di Caino, il “primo fondatore della
geometria e della massoneria” 25. Il ruolo di Pitagora è essenziale: i
discendenti d’Adamo eressero due colonne, temendo che l’ira di Dio cancellasse
con un cataclisma la razza umana e la sapienza originaria, e v’incisero tutte le
scienze. Dopo il diluvio Pitagora trova una delle due colonne ed Ermete l’altra,
“ed essi insegnarono le scienze che trovarono scritte in esse” 26.
Il tema leggendario delle due colonne della sapienza, che ha percorso un
tragitto lungo almeno sino alle colonne salomoniche del tempio massonico, svolge
la funzione di garantire la continuità della trasmissione: la sapienza
originaria non ha subito cesure con il diluvio. Se infatti il fondamento delle
arti liberali fosse successivo alla confusione delle lingue che Dio volle dopo
il tentativo di scalare il cielo con la torre di Babele, esso non avrebbe
alcunché di sacro e non potrebbe permettere “d’avere il cielo”, come avverte il
Regius.
La principale e più nota fonte di questa leggenda è Giuseppe Flavio 27. Ma il
manoscritto Cooke è l’unico testo che, pari ai Misteri egizî di Giamblico 28,
narri delle due colonne primordiali e assegni a Pitagora 29 il ruolo nodale di
scopritore e custode della sapienza originaria, sia pure al fianco d’Ermete:
segnale quanto mai eloquente del ruolo magistrale che il filosofo di Samo ha
assunto nella craft muratoria.
Naturalmente le due colonne della sapienza non potevano non approdare nella
parte storico mitica delle Costituzioni del 1723 che è certamente vergata da
Anderson 30. Sebbene il manoscritto Cooke gli sia giovato da canovaccio 31,
Anderson relega in nota l’episodio leggendario, e senza minimamente menzionare
Pitagora 32, al quale sembrerebbe destinare il ruolo certamente più marginale di
“autore della 47ª proposizione del primo libro di Euclide”, ben più nota come
teorema di Pitagora. Anche in questo caso, però, conviene un’attenta lettura:
…l’eccelso Pitagora si rivelò autore della 47ª proposizione del Primo Libro di
Euclide, che se opportunamente applicata costituisce il fondamento della
Muratoria sacra, civile e militare… 33
Il teorema di Pitagora è presentato come pietra di fondazione di tutta la
muratoria, e non credo che in questo caso Anderson si riferisca esclusivamente
all’architettura. Ruolo letteralmente centrale è infatti riservato al teorema
pitagorico nel frontespizio d’apertura delle Costituzioni: è collocato tra i due
protagonisti, il duca di Montagu e il duca di Wharton, proprio sotto il rotolo
delle costituzioni che il primo consegna al secondo. E nel preciso ruolo di
fondamento, allineato al pavimento dell’architettura che inquadra la scena 34.
L’assialità e il parallelismo che nel frontespizio andersoniano legano il
triangolo pitagorico per eccellenza alle costituzioni muratorie hanno un vertice
comune nel termine ‘right’, che in Inglese designa sia la legge, la regola, il
canone, l’equità e dunque la giustizia, sia naturalmente il triangolo
rettangolo, il ‘right—angled triangle’. Per un suddito britannico dei primi del
Settecento l’associazione più prossima è al Bill of rights, la carta dei diritti
e delle libertà approvata nel 1689. Ma nell’Inglese dell’epoca sono segnalati
anche usi del termine che slittando sull’omofonia indicano oltre la rettitudine,
la giustizia e il triangolo rettangolo, anche il rito. E singolarmente gli
esempî più prossimi all’epoca delle Costituzioni andersoniane rinviano alla
sfera pitagorica 35, cioè ai riti orfici, menzionati in una storia della
filosofia del 1687, e a Numa Pompilio, insistentemente associato a Pitagora da
Cicerone e altre fonti.
L’analogia si salda dunque sulla rettitudine: ciò che è proporzione e armonia
nella sfera metafisica e cosmogonica diviene, come ho già detto con un
neologismo, cosmonomia, legge universale, e dunque riguarda a pieno titolo anche
la giustizia come principio regolatore dell’etica e della morale sociale: tutto
è Uno. La concordanza datava almeno dai tempi d’Aristotele, che certamente
pitagorizzando nell’Etica nicomachea dichiarava che “la giustizia è la più
importante delle virtù. Inoltre è perfetta perché chi la possiede può esercitare
la virtù anche verso gli altri” (V, 1) e “il giusto è un che di proporzionale”
(V, 3).
Lo stesso Inigo Jones, architetto secentesco celebrato da Anderson come “Grande
Maestro Muratore”, e tenace propugnatore d’una concezione aristotelica dell’arte
al servizio dell’etica, associava strettamente armonia, proporzione e giustizia:
“l’euritmia è la misura della proporzione applicata alla materia, come l’equità
alla giustizia” 36. E anche Porfirio e Giamblico si spingevano sull’equazione
tra armonia e giustizia: anzi a loro va fatta risalire la connessione tra il
triangolo rettangolo e la giustizia.
Spiega Giamblico nella sua Vita pitagorica che Pitagora, «volendo dimostrare che
la giustizia, limitata, uguale e commensurabile domina anche sull’ineguale,
incommensurabile e illimitato, e indicare nel contempo come la si deve
esercitare, diceva che la giustizia somiglia a quella figura che è sola in
geometria ad avere illimitate possibilità di composizione di forme che pur
essendo disuguali tra loro tuttavia ammettono un unico procedimento dimostrativo
per le loro superfici quadrate» 37.
La giustizia trova pertanto corrispettivo geometrico nei triangoli rettangoli, e
massimamente in quello i cui cateti stanno nel rapporto di tre quarti: Pitagora,
precisa Giamblico, «rappresentava le costituzioni politiche con tre linee
combinate in guisa che si toccassero alle estremità: uno degli angoli da esse
formato era retto, una linea stava con l’altra nel rapporto di 4:3, l’altra
aveva cinque unità. Se noi consideriamo i rapporti in cui queste linee e i loro
quadrati stanno tra loro, possiamo delineare il quadro della costituzione
politica ottima» 38. La giustizia, nella via iniziatica platonico pitagorica, è
incarnazione individuale e sociale delle leggi del cosmo, il raggiungimento
della padronanza di sé nell’accordo armonico con l’universo: la raggiunta
maestria 39.
Il triangolo rettangolo 3—4—5 sintetizza dunque le costituzioni politiche ma, a
giudicare da un rituale pubblicato nello stesso anno delle Costituzioni
andersoniane, il 1723, è preso a modello, sempre secondo una concezione
comunitaria pitagorica che deriva da Giamblico 40, anche per il rapporto
armonico che deve nutrire una Loggia “giusta e perfetta”:
Cosa rende una loggia Giusta e perfetta?
Un Maestro, due Sorveglianti, quattro Compagni, cinque Apprendisti, con squadra,
compasso e libro della legge. 41
Basta sommare i due Sorveglianti al Maestro per avere il rapporto 3—4—5. È
questo il contesto che dà senso a un brano catechetico del 12° grado del Rito di
Perfezione, del 1783, in cui il giudizio, che faceva appena capolino nella
definizione di geometria del Poema Regius, torna a catalizzarsi prepotentemente
sul triangolo rettangolo. Dopo avere chiesto al candidato al grado di Gran
Maestro Architetto cos’è la geometria e “perché sia un cardine per i massoni”,
gli si domanda se anche la trigonometria sia un cardine per il massone:
D.: È necessaria la trigonometria per un massone, e può considerarsi anch’essa
un cardine per lui?
R.: Si, Gran Maestro Architetto; questa scienza non sussiste senza le
precedenti. … La scoperta di quest’arte la dobbiamo a Pitagora… La trigonometria
è piuttosto un attributo riservato al Grande Architetto dell’Universo piuttosto
che al singolo massone, e ciò lo farà tremare quando si renderà conto che il
Grande Architetto dell’Universo lo giudicherà per lo stesso teorema di Pitagora.
Tutte le nostre azioni, mutate in segni, formeranno un triangolo di cui solo due
lati sono percepibili alla nostra coscienza come ad esempio il bene e il male.
Ma il Grande Architetto dell’Universo, unico, ricaverà il vertice conosciuto a
Lui solo tracciando gli angoli dei nostri cuori. 42
Non stupisce che Mackey, memore della potestà di fondamento assegnata al
triangolo rettangolo e alla giustizia nel viatico massonico dalle Costituzioni
andersoniane, presenti la giustizia come “la sola pietra d’angolo sulla quale il
massone può aspettarsi «di costruire un edificio che porti onore sia a se stesso
che all’intera fratellanza»” 43. Ben sapeva che la camera del 31° grado del Rito
Scozzese, addobbata come un supremo tribunale, sia coronata a oriente dai
principi aristotelici, “justitia” ed “equitas”, assieme alla tetractys
pitagorica 44.
La sottesa e allusiva filigrana pitagorica della massoneria simbolica affiorerà
in tutta evidenza in seguito alla pubblicazione dei catechismi in Masonry
dissected 45: alle insinuazioni lanciate da Prichard 46 nel 1730 la Gran Loggia
di Londra 47 risponde lo stesso anno con A Defence of Masonry, testo anonimo
vòlto a dimostrare la “conformità tra i riti e i principi della Massoneria coi
molti usi e cerimonie degli Antichi” 48, in cui si sottolinea a più riprese il
rapporto con l’antico sodalizio: “la Massoneria, così come pubblicata dal
Dissettore, di molto s’avvicina all’antica disciplina pitagorica dalla quale …
essa può in talune circostanze giustamente far discendere le proprie origini”
49.
I principali punti di contatto tra il sodalizio pitagorico e la massoneria sono
secondo l’anonimo autore il solenne giuramento d’osservare il silenzio 50, la
comunicazione tramite segni e parole e ciò che “il Dissettore chiama i quattro
principî della massoneria, punto, linea, superficie e solido” 51, ovvero la
tetraktys aritmetica trasposta geometricamente. Gli Esseni, altro esempio
d’affinità col viatico massonico per l’autore di A Defence of Masonry, vengono
presentati come “una sorta di Pitagorici” del mondo ebraico, e non si perde
l’occasione di sottolineare che gl’iniziati alla setta essenica dovessero “far
professione di perseguire la giustizia” 52.
A Defence of Masonry sfoggia una ricca e documentata bibliografia sul
Pitagorismo: dagli Stromata di Clemente Alessandrino alle Vite di Pitagora di
Diogene Laerzio, e soprattutto Porfirio e Giambico, con i loro significativi
passi sulla giustizia. Bibliografia che diverrà costante punto di riferimento,
grazie alla pubblicazione di questo saggio nelle Costituzioni andersoniane del
1738, per l’elaborazione di alti gradi e della saggistica massonica sul
Pitagorismo 53. E decisiva in questo succoso saggio è la sapiente lettura della
leggenda hiramita sulla falsariga del ramo d’oro virgiliano.
Ma il pitagorismo non è patrimonio esclusivo della massoneria, ai tempi d’Anderson.
Tralasciando per brevità l’ambiente in cui torna a maturare il pitagorismo 54,
fecondo di pubblicazioni, di relazioni e personaggi, restiamo nella cerchia
dell’ancor giovane Gran Loggia di Londra. Nel frontespizio andersoniano figura
Desaguliers, amico intimo di Newton, membro della Royal Society e divulgatore
delle dottrine newtoniane 55, e lo stesso duca di Montagu era membro d’una
società di studi fisici. E un respiro schiettamente newtoniano soffia
sull’ouverture della storia andersoniana 56.
Isaac Newton, accusato di deismo e ingiustamente associato al meccanicismo,
intese presentare la sua opera di teorico e di sperimentatore come un ritorno al
più genuino Pitagorismo 57. La svolta fondamentale della fisica moderna,
compiuta da Newton nei Principia mathematica, corrisponde a un esplicito
tentativo di riscoprire l’aspetto esoterico della cosmologia pitagorica,
nascosto sotto i “discorsi volgari” della musica delle sfere.
L’aspetto più singolare emerso dalla biografia newtoniana di Westfall è che il
grande “philosophus naturae”, come si definiva, riteneva infatti che la
conoscenza fondamentale del mondo, la cosiddetta prisca sapientia, fosse già
stata rivelata da Dio ai primi uomini e incisa su due pilastri, riscoperti dopo
il diluvio universale da Pitagora ed Ermete Trismegisto, che ne inglobarono la
verità nelle proprie filosofie esoteriche 58. Dopo il manoscritto Cooke, Newton
è il secondo, e ultimo per quel che so, ad associare Pitagora ed Ermete alle
colonne della sapienza: forse fu l’amico Desaguliers a parlargli di quella
singolare storia raccontata dal massonico manoscritto Cooke. Forse, chissà, fu
lui a mostrarla a Desaguliers. E questo ci dice che certo dovremo approfondire
ulteriormente il rapporto tra la massoneria simbolica e la Royal Society.
Per il momento possiamo limitarci a constatare che per Newton la sua legge della
gravitazione universale non era altro che la rinascita più autentica del
Pitagorismo, e che certamente non era l’unico a scorgere in esso l’unità della
scienza e della conoscenza, della politica e dell’etica, della religione, la
dimensione essoterica e dell’esoterica: l’iniziazione. Lo dimostrò col silenzio,
davvero pitagorico, con cui avvolse i decenni di studî alchemici.
In questi anni i fisici Witten e Graham Green hanno sviluppato la teoria delle
stringhe: nei quark, cioè nell’infinitamente piccolo, vibrano delle stringhe,
ciascuna delle quali emette una particolare vibrazione, come un suono, analogo a
un si bemolle o un fa diesis. Se la teoria trovasse conferma oltre il modello
matematico, commenta Graham Green, si confermerebbe la dottrina pitagorica
dell’armonia delle sfere. Ancora una volta le nuove frontiere della scienza
scoprono la pulsante perennità del Pitagorismo. Insomma: l’universo ha un cuore
pitagorico. Anche la Massoneria. Mi auguro che anche noi sapremo riscoprirlo.
Note
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1 Dai Carmina Aurea: “In ogni cosa, di agir senza riflettere perdi l’abitudine”;
“Fa dunque quel che non ti nuocerà, riflettendo bene prima d’agire”; (Versi
Aurei, Roma 1991, pp. 33—36).
2 Ancora dai Carmina Aurea: “allora, lasciato il corpo, salirai al libero etere.
Sarai un iddio immortale, incorruttibile, invulnerabile” (ib., p. 36), che
rappresenta in chiaro il percorso a cui allude la leggenda di Hiram.
Reuchlin ha chiaramente in mente i Carmina aurea quando scrive: “A quale altro
fine tende il Cabalista, ovvero Pitagora, se non a ricostituire come dèi le
anime degli uomini?” (J. Reuchlin, L’arte cabalistica (1516), Firenze 1995, p.
139). Per il rapporto tra Pitagorismo e cabala in Reuchlin vedi note 16 e 17.
Sul viatico pitagorico vedi anche M. Nicosia, La fortezza pitagorica o la Via
Regia, in zen—it.com/Lfortezza.htm.
3 Sempre dai Carmina Aurea: “La misura in ogni cosa è la perfezione” (ib., p.
34). Il fondamento razionale della conoscenza e il senso della misura sono
‘pitagoricamente’ caldeggiati da Pico della Mirandola nel De hominis dignitate:
“consultiamo anche il grande sapiente Pitagora…Egli ci comanderà anzitutto di
non sedere sopra il moggio, vale a dire di non privarci di quella facoltà
razionale, con la quale l’anima misura, giudica ed esamina ogni cosa…”.
4 Mentre nella massoneria secentesca testimonia l’importanza del Pentalfa il
sigillo di Moray, scelto come “mason mark” dopo la sua iniziazione nella
Edinburgh Lodge nel 1641 (R. Stevenson, The Origins of Freemasonry, Cambridge
University press 1998 5, p. 168 sgg.), eloquente esempio dello smarrimento del
suo significato pitagorico è la lettura dell’Enciclopedia o del Lessico
massonico di Mackey, in cui non v’è il minimo accenno all’essenziale significato
pitagorico del pentalfa.
Avvertito il lettore che la stella fiammeggiante non va confusa con la stella a
cinque punte, malgrado siano entrambe pentagonali, della prima Mackey scrive che
“sia emblema della Provvidenza Divina”, che oggi “nel rituale inglese è emblema
di prudenza” e rappresenta il sole (A. G. Mackey, Encyclopedia of Freemasonry,
1, ad vocem; id., A lexicon of Freemasonry, 1869, ad vocem). Della seconda, cioè
la “stella a cinque punte”, ricorda la connessione con il grado di Maestro e i
cinque punti della Fratellanza e precisa che “nelle nostre letture (cioè i testi
d’istruzione massonica, n.d.a) non se ne dà alcuna spiegazione” (A. G. Mackey, A
lexicon of Freemasonry, 1869, ad vocem).
A proposito dell’associazione della stella pentagonale fiammeggiante con la
provvidenza divina, che può apparire a prima vista singolare, troviamo una
singolare ‘interfaccia’ pitagorizzante: Pico della Mirandola, nelle Conclusiones
nongentae, ed esattamente nelle Conclusiones secundum Mathematicam Pythagorae,
numero XIV, enumera sibillinamente: “4. Qui I, II, III, IV, V, XII, ordines
cognouerit, prouidentiae distributionem exacte tenebit” (Chi conoscerà la
successione 1, 2, 3, 4, 5, 12, avrà in pugno con precisione la distribuzione
della provvidenza). È possibile che sia questa tesi pichiana all’origine della
lettura morale del pentalfa: il 12 è nella tradizione pitagorica numero
“pentagonale” come il 5.
5 I suoi studî, pur datati in alcuni aspetti per lo più storiografici o
filologici, restituiscono in forma esatta l’esperienza che corona il viatico
iniziatico e rappresentano l’eccezione che conferma l’attuale stato di cose.
Vedi A. Reghini, Le parole sacre e di passo dei primi tre gradi e il massimo
mistero massonico: studio critico ed iniziatico, Todi, c. 1922, Atanòr,
soprattutto il cap. V; id., Considerazioni sul rituale dell’apprendista libero
muratore, con una nota sulla vita e l’attività massonica dell’autore di Giulio
Parise, Genova, 1978, Phoenix; id., Paganesimo, pitagorismo, massoneria, a cura
dell’Associazione pitagorica, Furnari, 1986; id., Numeri sacri nella tradizione
pitagorica massonica, Roma 1947.
6 Cicerone nella traduzione al platonico Timeo, ricordando l’estinzione
dell’antica schola, presenta l’amico Nigidio Figulo come il restauratore della
disciplina pitagorica a Roma: “denique sic iudico, post illos nobiles
Pythagoreos, quorum disciplina extincta est quodam modo, cum aliquot saecla in
Italia Siciliaque viguisset, hunc extilisse, qui illam renovaret” (I, 1).
Diogene Laerzio menziona gli “ultimi Pitagorici” che Aristosseno fece in tempo a
conoscere (Diogene Laerzio, Vite, VIII, 46). E anche Porfirio, che pure si pone
tra i Platonici che ‘pitagorizzano’, è lapidario: “dopo che sui Pitagorici si fu
abbattuta tale catastrofe (il tragico episodio di Crotone, n.d.a.), si estinse
anche la loro filosofia” (Porfirio, Vita di Pitagora, 57).
7 Le opinioni che si confrontano nel dibattito storiografico sono non poco
discordanti. Chi ritiene che non vi sia e possa essere continuità, chi invece
ritiene che la continuità sia stata assicurata da piccole comunità. Per esempio
W. Burkert afferma che «la permanenza di comunità di culto pitagoriche… in età
ellenistica non è assicurata da nulla», (Hellenistische Pseudopythagorica, in «Philologus»,
105, 1961, pp. 16—43), mentre H. Dörrie sostiene il contrario (Pythagoreismus,
in Realenciclopädie, XXIV, 1963, p. 269: «la tesi secondo cui il pitagorismo
continuò a vivere in piccole comunità… si basa su ragioni ben fondate».
8 Il processo di ‘pitagorizzazione’ del Platonismo, ovvero d’assimilazione del
Pitagorismo, trova in Giamblico uno dei protagonisti: ad Alessandria venne a
contatto col Neopitagorismo, centrato sulla mistica dei numeri, di Nicomaco di
Cerasa, cui dobbiamo un’Introduzione all’aritmetica. Su quest’opera scrive lo
stesso Giamblico: “scopriamo in effetti che Nicomaco nella sua Tecnica
aritmetica ha insegnato tutto su questa teoria secondo il pensiero di Pitagora”
(Giamblico, Sulla introduzione all’aritmetica di Nicomaco, 4).
9 Gli stessi Versi aurei, attribuiti alla mano di Pitagora e che ebbero
grandissima fortuna in tutte le epoche, Pico li attribuisce a Filolao: “quei
carmi aurei che vanno in giro non sono di Pitagora, come comunemente si crede
anche dai più dotti, ma di Filolao” (Pico della Mirandola, Heptaplus, trad. it.
di E. Garin, Arktos, s.l., s.d., p. 3). Significativa dunque la notizia
trasmessa da Pico: nel Quattrocento i versi aurei ancora si attribuivano allo
stesso Pitagora, malgrado Ierocle alessandrino avesse nel suo Commento precisato
che “non sono le parole memorabili di un solo individuo, ma la dottrina di tutto
il corpo dei Pitagorici”. La redazione dei Versi aurei è di datazione molto
incerta, e oscilla tra il IV a.C. e il IV d.C.
10 Di Nigidio Figulo testimoniano tra gli altri Apuleio e Cicerone. Il primo lo
ricorda come ‘mago’ e divinatore (“Ugualmente, Fabio, siccome aveva smarrito 500
denari, andò a consultare Nigidio; dei fanciulli, incantati da Nigidio stesso,
indicarono in qual luogo si trovasse sepolta la borsa con una parte di quei
denari e in qual modo fossero stati dispersi tutti gli altri; uno di quei denari
lo possedeva anche il filosofo Marco Catone; Catone stesso ammise di averlo
ricevuto dal suo servo, tra le offerte per il tesoro di Apollo”, Apuleio,
Apologia, 42). Per Cicerone vedi nota 5. Cfr. anche A. Della Casa, Nigidio
Figulo, Roma 1962.
Il Pitagorismo romano meriterebbe una specifica trattazione. Basti in questa
sede ricordare che a stimolare il recupero del Pitagorismo nella stagione
ciceroniana contribuirono il carattere italico del sodalizio e i rapporti di
Roma con Crotone, nonché la stretta affinità tra etica e cosmologia stoiche e
pitagoriche. Non abbiamo consistenti testimonianze su Nigidio Figulo, ma è
possibile ipotizzare che, se si costituì un sodalizio, esso si estese o si
trasferì forse proprio a causa delle persecuzioni sino a Pompei, dove una
traccia monumentale è rimasta in un mosaico dell’Insula I. Purtroppo non ho
potuto sinora concludere questo studio che mostra la singolare tangenza di
simboli muratori col ‘triplice triangolo’ pitagorico, segno di riconoscimento
del sodalizio e simbolo di salute, cioè di rigenerazione.
11 Sia Porfirio che Giamblico scriveranno una biografia di Pitagora, ambedue
decisive per i successivi riaffioramenti pitagorici. Porfirio, definito
“filosofo insigne” da Agostino d’Ippona (De civitate Dei, XIX, 22), fu discepolo
di Plotino ed editore delle sue Enneadi. Eusebio ricorda la sua familiarità con
i testi platonici e pitagorici: “da essi si iniziò questa interpretazione
allegorica dei misteri dei Greci, e ne applicò il metodo alle scritture degli
Ebrei” (Historia Ecclesiastica, VI, 19, 8). Sintetico e chiaro nelle sue pagine
il tragitto pitagorico: “liberare e affrancare il nostro intelletto… Una volta
che l’intelletto sia così purificato… si innalzava per gradi alla contemplazione
degli enti eterni… sempre della medesima forma” (Porfirio, Vita Pitagorica,
45—47).
Giamblico intende completare con la sua biografia il programma di
pitagorizzazione del Platonismo, concepito e vissuto come l’autentico e
legittimo erede del sacro fuoco della schola italica. Del tutto corrispondente a
Porfirio la testimonianza di Giamblico sull’essenza della pratica pitagorica:
“una volta purificata la mente… si pone il compito di ispirarle e parteciparle
alcunché di salutare e divino onde non si scoraggi quando si separa dal corpo né
distolga lo sguardo per lo straordinario fulgore, quando è addotta verso gli
enti incorporei, né si rivolga alle passioni che inchiodano e stringono l’anima
al corpo…” (Giamblico, Vita Pitagorica, 228).
12 “Nella tradizione romana è visibile una tendenza a qualificare come
pitagorico tutto ciò che presenta la minima connessione con aritmologia, magia,
pratiche divinatorie, occultismo, superstizione” (B. Centrone, Introduzione ai
Pitagorici, Bari, p. 164).
A esempio della persistenza in età moderna dell’apparentamento della matematica
con le scienze occulte, cioè di ciò che da Ficino e Pico si sarebbe chiamata
philosopia naturalis, basti il caso certo non unico di Francesco Piccolomini
(1520—1604), che fu a Padova condiscepolo del futuro Sisto V, e per il quale
matematica e fisica sono due delle quattro parti della magia, con la cabala e la
demonologia. Cfr. F. Secret, Les Kabbalistes Chrétiens de la Renaissance, Milano
1985, p. 314.
13 Sotto Tiberio un senatoconsulto mise al bando nel 16 d.C. magi et mathematici.
Cfr. U. Lugli, La magia a Roma, Genova 1989, p. 34. Ma significativo è anche
Filostrato, Vita di Apollonio di Tiana. 4, 35 sgg.: “Nerone non permetteva che
si esercitasse la filosofia… Più di una volta il mantello del filosofo fu tratto
in tribunale”.
14 Le proporzioni armoniche, scoperte secondo le narrazioni da Pitagora stesso,
si fondano sulle tre consonanze insite nei primi quattro numeri. Nella
disciplina pitagorico platonica ciò comporta implicazioni metafisiche e
cosmogoniche. Il diapason, o 1:2, manifesta il rapporto tra il principio
immobile o «deus absconditus» e la «diade infinita», ovvero tra l’Uno e il
molteplice. In esso sono già implicite le altre due consonanze e perciò
costituisce l’armonia perfetta secondo Filolao (6 : 12 = 6 : 8 + 8 : 12 o 6 : 9
+ 9 : 12). Nel diapente, o 2:3, la materia, o archetipo femminile, è correlata
al tre, principio manifesto corrispondente al nous, o intellectus, e
all’archetipo maschile. Nel diatessaron, o 3:4, il principio manifesto s’accorda
con la materia «formata», la forma entra in relazione con il solido. Le tre
consonanze quindi descrivono nel loro sviluppo geometrico e musicale
l’emanazione che dall’Uno procede sino al molteplice.
15 L’innesto, scaturito dall’interesse cabalistico di Pico, si fonda sui passi
di Numenio a proposito di “Platone Mosè attico” e del “pitagorico Ermippo”, il
quale “attesta che Pitagora moltissime cose trasferì nella propria filosofia
dalla legge mosaica” (Pico della Mirandola, Heptaplus, op. cit., p. 3). Ermippo,
forse il primo ad affermare che la dottrina di Pitagora deriverebbe da “Traci ed
Ebrei”, fu ripreso da Giuseppe Flavio che ne ribadì il concetto: “è affermazione
veritiera che Pitagora attinse moltissimo dalle leggi ebraiche per la sua
filosofia” (Josephus Flavius, The Works of Flavius Josephus, vol. 4, Baker Book
House, 1983, p. 174).
È evidente che Pico abbia tratto l’informazione da Giuseppe Flavio, anche se
preferisca ricondurla a una presunta fonte pitagorica. L’Heptaplus ha come
obiettivi la dimostrazione della priorità della tradizione ebraica, attinta da
Genesi, e l’unità delle tradizioni. Il pichiano De hominis digitate propone
un’ars numerandi come metodo filosofico sapienziale che trova principio nella
cabala, analoga alla filosofia pitagorico platonica: “ti parrà di udire del
tutto Pitagora e Platone”.
16 Johannes Reuchlin (grecizzato in Kapnion), umanista tedesco (Pforzheim
1455—Bad Liebenzell 1522). Venne in Italia nel 1498 come inviato del principe
elettore del Palatinato. Insegnò greco ed ebraico a Ingolstadt e a Tubinga e
fondò gli studi di ebraico in Germania, dando alle stampe due manuali (1506 e
1518). È con Erasmo il principale rappresentante dell’umanesimo in Germania.
Convinto prete cattolico, avversario della Riforma, ebbe vasta rinomanza per la
sua polemica con l’ebreo antisemita J. Pfefferkorn, che sfociò nella più grande
polemica fra umanisti e tardo scolastici da cui nacquero le Epistolae obscurorum
virorum, pamphlet satirico contro la tarda scolastica dei domenicani.
I suoi principali lavori cabalistici sono il De arte cabalistica e il De verbo
mirifico. Il primo volge in chiave esoterica il De pace fidei di Cusano, opera
tesa a mostrare l’unità delle tre tradizioni monoteiste mediterranee. Dunque i
tre protagonisti del De arte cabalistica rappresentano un cabalista, un
pitagorico e un ‘esoterista’ islamico le cui conoscenze risultano, nel corso del
dialogo, avere medesimo principio e fondamento. Su Reuchlin e la cabala
cristiana si veda F. Secret, Les Kabbalistes Chrétiens de la Renaissance, Milano
1985, cap. IV. La traduzione in italiano è su zen-it.com/Reuchlin.htm.
Sulla fortuna di Reuchlin in Inghilterra, e dunque la sua possibile influenza
sul recupero del Pitagorismo, converrà dare alcune indicazioni. John Dee
possedeva tutti i libri sulla querelle con i Domenicani in cui Reuchlin fu
coinvolto, e cioè Georgij Benigni defensio Joh. Reuchlin, 4o. col. 1518, Jacob
Hochstraten apologia, seu libri duo contra dialogum Benigni pro Reuchlino
scriptum, 4o. Col. 1518, Acta judiciorum inter Jacobum Hochstraten & Joh.
Reuchlin, 4o. Hagenoæ. Thom. Anselm. 1518 (Cfr. John Dee’s Library Catalogue,
ed. by J. Roberts & A. G. Watson, The London Bibliographical Society, 1990). Ma
oltre John Dee, il cui interesse per la cabala è noto, e al quale dobbiamo la
pitagorizzante Monade geroglifica, Reuchlin era parecchio noto ad altri
personaggi dell’Inghilterra rinascimentale. Anzitutto a Tommaso Moro, la cui
ammirazione per Reuchlin era tale da definirlo nella sua corrispondenza
“adorato” (E. Surtz, Thomas More's Friendship With John Fisher, in “Moreana”, N.
15, 1967).
Ma Reuchlin era modello anche tra gli Aristotelici: l’aristotelismo di Everard
Digby inclinava verso una “teologia mistica” largamente debitrice ai testi
cabalistici del Tedesco (Revival of Aristotelianism in the 16th, in The
Cambridge History of English and American Literature, Cambridge, England:
University Press, 1907—21). E attraverso Mythomystes di Henry Reynolds, del
1632, Pico e Reuchlin trovarono una voce inglese (Jacobean and Caroline
Criticism, ibid.).
17 Reuchlin, sulla scorta dell’Heptaplus pichiano —che indica l’origine del
Pitagorismo nella legge mosaica— e delle fonti usate dallo stesso Pico, cioè
Ermippo di Smirne e Giuseppe Flavio, fa risalire il Pitagorismo alla cabala
ebraica: “Pitagora… non ricevette dai Greci l’eccellenza della sua dottrina, ma
dai Giudei stessi. E perciò egli può essere correttamente chiamato Cabalista
anche se… mutò il nome di Cabbala… nel nome greco di filosofia” (J. Reuchlin, De
arte cabalistica, Venezia 1995, p. 70).
Scholem, massimo studioso di cabala, indica nel Pitagorismo e nel Platonismo
l’origine della cabala: l’albero sefirotico deriva da “influenze neopitagoriche
e stoiche” (G. Scholem, La cabala, Roma 1992, p. 34); altrettanto accade per il
Sefer Yezirah, il cui autore “si sforzò di ‘giudaizzare’ speculazioni non
ebraiche” (ibid., p. 35); quanto alla nascita della cabala ebraica, Scholem la
situa nella Provenza tra il 1150 e il 1200: “le versioni ebraiche delle teorie
neoplatoniche del Logos e della Volontà divina, dell’emanazione e dell’anima,
ebbero l’effetto d’uno stimolo potente” (ibid., p. 51); ancor più precisamente
si esprime poco dopo Scholem: “la cabala, nel suo significato storico, può
essere definita come il prodotto dell’interpenetrazione dello gnosticismo
giudaico e del neoplatonismo” (ibid., p. 52).
18 Il più remoto documento massonico viene chiamato Regius perché fa parte della
Royal Library d’Inghilterra, oggi conservata nel British Museum. È detto anche
Halliwell Ms. perché nel 1840 James 0. Halliwell ne scoprì il carattere
massonico e lo pubblicò per la prima volta. In precedenza era stato catalogato
come «A Poem of Moral Duties». Gli viene attribuita concordemente una data
intorno al 1390. Il testo integrale in Italiano, accompagnato da una breve
presentazione, può essere consultato in “Rivista massonica”, agosto 1973, N. 6,
pp. 325 sgg., o in zen—it.com/Regius.htm. La trascrizione in Inglese moderno è
in zen—it.com/Regiusen.htm. La versione originale, in Inglese chauseriano, è in
nymasons.org/regius_unt.html.
19 Questo l’avvio: “Hic incipiunt Constituciones artis gemetrie secundum
Euclydem”, ovvero “qui cominciano le costituzioni dell’arte della geometria
secondo Euclide”, che fondò “quest’arte di geometria in terra d’Egitto”, dove
“insegnò”.
20 Non solo la descrizione della geometria è sorprendente nel Regius:
La Retorica misura con espressione ornata il ritmo …
L’Aritmetica fa vedere che una cosa è un’altra.
21 Il manoscritto Carmick risale al 1727 circa ed è conservato dalla Gran Loggia
di Pennsylvania. Henry S. Borneman lo descrisse sistematicamente e ne fornì una
esatta trascrizione in Early Freemasonry in Pennsylvania.
22 Così nel dodicesimo grado del Rito di Perfezione, il “Grand Master Architect”,
in H. A. Francken, Francken Manuscript 1783, s.l. s.d., Kessinger, isbn
1—56459—365—7, p. 110, in cui si precisa tuttavia che la geometria misura le
superfici, “but no solids”.
23 La scala a sette pioli corona anche il 24° grado del Rito di Perfezione, ma
il rapporto con le sette arti liberali è venuto meno. Nei rituali più recenti
del 30° del Rito Scozzese Antico e Accettato, corrispondente al 24° del Rito di
perfezione, è stato reintrodotto il settenario delle arti liberali. Per una
lettura di questo grado nei rituali più recenti vedi M. Bizzarri, La scala
misteriosa del trentesimo grado del Rito Scozzese, in zen—it.com/scalaxxx.htm.
24 Il manoscritto Cooke fu redatto nel primo trentennio del Quattrocento in
inglese antico e tradotto per la prima volta in italiano in E. Bonvicini,
Massoneria antica, Roma 1989, pp. 167—174. Le pagine 156—166 contengono la
versione originale e in Inglese moderno. Probabilmente ancora in uso presso le
Craft inglesi del Seicento, contiene una parte normativa divisa in nove articoli
e nove punti preceduta da una narrazione mitica delle origini della Massoneria,
struttura che servì da canovaccio al pastore Anderson per le sue Costituzioni
del 1723. Cfr. anche R. F. Gould, The Concise History of Freemasonry, 1920 2, p.
139.
25 La prima città menzionata nella Bibbia è “Enoch”, costruita dall’omonimo
figlio di Caino. Iubal è il “padre di tutti i suonatori di lira e flauto” (Gn,
4, 17—21). Lo scambio potrebbe non essere frutto d’errore, e viceversa cercare
una congiunzione, alla maniera pitagorica, di musica e ‘scienze del numero’,
cioè geometria e architettura.
26 Questo il brano: “E dopo molti anni dal Diluvio, come narra la Cronaca,
questi due pilastri furono ritrovati e, come dice il Polyecronicon, un grande
dotto chiamato Pitagora ne trovò uno ed Hermes, il filosofo, trovò l’altro ed
essi insegnarono le scienze che trovarono scritte in essi”.
27 Nella narrazione di Giuseppe Flavio sono tuttavia i figli di Seth a erigere
le due colonne, e non i figli di Caino: “essi furono gl’inventori di quella
particolare specie di sapienza che riguarda i corpi celesti e il loro ordine. E
affinché le loro invenzioni non andassero perdute prima che fossero abbastanza
note, in base alla predizione di Adamo secondo cui il mondo doveva essere
distrutto una prima volta dal fuoco e una seconda volta dalla violenza e dalla
massa dell’acque, essi costruirono due pilastri: uno di mattoni e l’altro di
pietra. Essi incisero su entrambi le loro scoperte, in modo che se il pilastro
di mattoni fosse distrutto dall’inondazione, quello di pietra potesse
rimanere…”. (Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche, I 2, 8). Giuseppe aggiunge
che i pilastri si potevano ancora vedere in terra di Siria.
28 Nella versione di Giamblico le colonne sono “ermetiche” e sia Pitagora che
Platone, naturalmente, attingono alla loro sapienza: “Gli scrittori egizî,
poiché pensavano che ogni cosa fosse stata inventata da Ermete, gli dedicavano i
loro libri. Infatti Ermete è il dio della sapienza e della parola. Pitagora,
Platone, Democrito, Eudosso e molti altri si accostarono ai sacerdoti egizî. I
loro dogmi si trovano presso gli Assiri, gli Egizî e sulle colonne dedicate a
Ermete. Pitagora e Platone si iniziarono alla filosofia studiando sulle colonne
di Ermete, in Egitto; le colonne di Ermete infatti, sono piene di sapienza”. (Giamblico,
De Mysteriis Aegyptiorum, Chaldaeorum et Assyriorum, trad. dalla versione lat.
di M. Ficino, 1946, p. 15).
Anche nel manoscritto Cooke l’Egitto gioca un ruolo capitale nella trasmissione
della scienza muratoria: “In tale modo la suddetta Arte, iniziata in Terra
d’Egitto, si propagò di Terra in Terra, di Regno in Regno”. Molto probabile
dunque che il Cooke ms. risenta dell’influsso diretto dei Misteri egizî di
Giamblico, o indiretto, attraverso una fonte intermedia che non ho ancora
individuato.
29 Il tema delle colonne della sapienza è variamente riferito a Zoroastro, (“Zoroastro,
detto il fondatore della scienza delle stelle a Babilonia, sembra che abbia
elevato 14 pilastri, 7 di bronzo e 7 di mattoni, su cui aveva inciso le arti
liberali, «così da conservarle a uso della posterità nell’eventualità di un
altro diluvio»”) o a Ermete (al—Idris 1099—1166, che compose la sua Geografia
alla corte normanna in Sicilia nel 1154, riferisce: «Ad Achmim (Panopoli sulla
riva orientale del Nilo) si osserva un edificio chiamato al—Berba, che fu
costruito dal glorioso Ermete prima del diluvio. Egli previde, per virtù della
sua arte, che il mondo sarebbe stato distrutto da una catastrofe, … E così
dapprima elevò delle mura di materia terrestre… In seguito però fece erigere un
edificio dalla pietra più dura, così provvedendo alla preservazione di tutte le
scienze utili all’uomo, e disse: «in caso si verifichi una catastrofe d’acqua,
gli edifici di terra cadranno, ma questi rimarranno e conserveranno la scienza
dalla distruzione». Quando si verificò il diluvio, tutto accadde come Ermete
aveva previsto…). Cfr. J. Lindsay, Le origini dell’alchimia nell’Egitto
greco—romano, Roma 1984 pp. 120—21.
Ma Bernardo Trevisano sembra voler polemizzare con quanti associarono Pitagora a
Hermes nel ritrovamento della sapienza originaria, ancora una volta correlata
alle arti liberali: “questo Hermes fu quello di cui nella Bibbia è scritto che
dopo il Diluvio entrò nella valle dell’Hebron e là trovò sette tavole di Pietra
di marmo, e in ciascuna di esse era stampata una delle sette Arti Liberali in
principî; queste tavole furono scolpite prima del Diluvio dai Saggi che c’erano
allora. Essi sapevano che il diluvio sarebbe venuto su tutta la terra e che
tutto vi sarebbe perito, e perché le Arti non perissero le scolpirono in quelle
pietre marmoree. Soltanto il detto Hermes trovò queste Tavole che sono il
fondamento di tutte le Arti e Scienze, ed egli fu prima dell’antica Legge” (B.
Trevisano, Filosofia dei metalli, in R. e S. Piccolini, Biblioteca alchemica,
1990, p. 20).
30 È la conclusione dell’approfondita analisi di L. Vibert, PM Quatuor Coronati:
“la genesi di tutto il lavoro appare così essere ciò che era stata progettata
originariamente come una storia, che era stata intrapresa da Anderson per conto
proprio; e che questa storia fu scritta durante il periodo dell’incarico di
Montagu e fu… approvata dalla Gran loggia” (L. Vibert, Introduzione, in J.
Anderson, Le costituzioni dei liberi muratori 1723, Foggia 1991, p. 47).
31 George Payne, Gran Maestro nel 1718 e nel 1720, quando insediò il Duca di
Montagu che gli succedette, esibì il manoscritto di Cooke, le cui principali
famiglie di manoscritti sono il Plot, Grand lodge, Sloane, Roberts e Spencer.
Anderson ne ebbe almeno una copia in visione.
32 Nella seconda nota, sui figli di Set: “certe vestigia dell’antichità
testimoniano che uno di essi, il devoto Enoch (che non morì ma fu assunto vivo
in Cielo), profetizzò la conflagrazione del Giudizio Finale (come racconta San
Giuda) e parimenti il Diluvio Universale per la punizione del Mondo. Su quest’ultimo
egli eresse le sue due grandi Colonne (sebbene alcuni le attribuiscano a Set),
una di pietra e l’altra di mattoni, incidendovi sopra le Scienze Liberali, ecc.
La colonna di pietra rimase in Siria fino al tempo dell’Imperatore Vespasiano”
(J. Anderson, Le costituzioni dei liberi muratori 1723, trad. it. e a cura di G.
Lombardo, Cosenza 2000, p. 5). Il riferimento alla Siria chiarisce che la fonte
di Anderson è Antichità giudaiche di Giuseppe Flavio: vedi nota 27.
33 J. Anderson, op. cit, trad. it. e a cura di G. Lombardo, Cosenza 2000, p. 14.
In nota una breve e non del tutto consueta biografia: “Pitagora visitò l’Egitto
nell’anno della morte di Talete, e soggiornandovi tra i sacerdoti per 22 anni
divenne esperto in Geometria e nelle scienze egizie, fino a quando non fu fatto
prigioniero da Cambise re di Persia e mandato a Babilonia, dove ebbe un’assidua
frequentazione con i Magi caldei e i dotti ebrei babilonesi, dai quali acquistò
straordinarie conoscenze che lo resero famoso in Grecia e in Italia, dove in
seguito raggiunse il pieno fulgore e morì quando Mordecai fu primo ministro di
stato di Ahasuerus re di Persia, dieci anni prima che fosse terminato il Tempio
di Zorobabele”. Bisogna precisare che mentre G. Lombardo, traduttore dell’ed.
Brenner, riferisce il “fondamento della muratoria” al teorema di Pitagora, nella
trad. firmata da Gamberini il “fondamento” è riferito al primo libro di Euclide
(J. Anderson, Le costituzioni dei liberi muratori 1723, Foggia 1991). Consultato
sulla questione, Lombardo mi ha confermato che nel costrutto linguistico di
Anderson il riferimento è al teorema pitagorico, e non al libro euclideo.
34 È da aggiungere che le mani dei duchi formano un triangolo equilatero.
Dunque
le Costituzioni sono collocate tra il triangolo equilatero e quello rettangolo,
cioè tra cielo e terra, quali emanazioni delle leggi divine. Il triangolo
equilatero e la sua metà sono stati utilizzati come moduli compositivi per il
frontespizio, e certamente per le principali figure.
L’altezza dei due duchi è pari a quattro triangoli. L’inclinazione della gamba e
della chioma del duca di Montagu, del lato sinistro del manto e del braccio del
duca di Wharton sono corrispondenti all’angolo di 30°, cioè del triangolo
rettangolo pari a metà dell’equilatero (che chiamerò -radice-3). La posa delle
gambe del duca di Montagu è pari a quattro moduli radice-di-3, mentre la posa
del suo successore è per evidenti ragioni di deferenza ridotta a un solo modulo.
Sullo stesso modulo è costruita la triangolazione del viso del duca di montagu e
del suo braccio. Il rotolo delle Costituzioni coincide con l’altezza del
triangolo equilatero e il compasso che il duca di Montagu porge al duca di
Wharton indica la mediana del lato opposto.
Effettivamente, bisognerebbe concludere, i comportamenti dei due duchi sono
conformi alla rettitudine compendiata nel triangolo rettangolo radice-di-3: sono
i giusti rettori della Craft, secondo legge.
35 L’uso di ‘right’ nel senso di ‘rite’ è attestato dall’Oxford, in tempi
prossimi al Settecento, in Stanley Hist. Philos. (1687) 405/1: “Being initiated
into the Orphick Solemnities, the Priest telling him, that they who were
initiated into those Rights” e in Prior Carm. Sec. 36: “Numa the Rights of
strict Religion knew;” (1700).
Interessanti anche le ulteriori inflessioni semantiche nel campo
dell’architettura (1705 Addison Italy 390: “What Miracles of Architecture they
would have left us, had they only been instructed in the right way”) e
soprattutto della letteratura, nel Paradiso perduto (1667 Milton P.L. ix. 352:
“But God left free the Will, for what obeyes Reason, is free, and Reason he made
right”).
36 È un’annotazione a margine dell’Etica nicomachea: “Euritmia is the temperinge
of the proportion applied to ye matter as Equiti is to Justice” (nota a Vitruvio,
LIV, introd.), cit. in A. Ceruti Fusco, Inigo Jones Vitruvius britannicus,
Rimini 1985, p. 428.
37 Giamblico, Vita pitagorica, XXX 179—180.
38 Ibid., 130—132. “Principio della giustizia è dunque —conclude Giamblico— la
comunità sociale, l’uguaglianza e una stretta unione in guisa che tutti sentano
allo stesso modo come se formassero un sol corpo e una sola anima…” (ibid.,
187). Anche Reuchlin sintetizza nel triangolo le costituzioni politiche: “Se tu
non pensassi che si può trovare la maggior parte di queste dottrine presso i
discepoli di Pitagora, potrei ridurre il tutto a proporzioni matematiche:
infatti 1 e 2 attraverso una prima progressione fanno 3, ed ecco lo stato, 3 per
3 fa 9, ed ecco la divinità, 3 per 4 fa 12 e questa è la vita privata… Dunque lo
stato è un triangolo, la vita privata un quadrato…” (J. Reuchlin, L’arte
cabalistica, op. cit., p. 136).
Sulla scorta di Giamblico si esprime certamente Mackey quando afferma nella voce
su Pitagora che “L’angolo retto era segno di moralità e di giustizia”. Giamblico
è infatti citato con Porfirio a sostegno d’altri punti della voce (A. G. Mackey,
A lexicon of Freemasonry, op. cit., ad vocem).
39 L’insegnamento discende direttamente da Porfirio, per il quale la giustizia è
la suprema virtù e la suprema armonia, ché mira all’equilibrio tra le altre
virtù e cura che nessuna prevalga in modo unilaterale. La giustizia è il viatico
eroico: “Né tuttavia dicevano indistintamente api tutte le anime che vanno verso
la generazione, ma solo quelle che dovevano condurre una vita secondo giustizia
e, compiute le opere grate agli dèi, nuovamente tornare” (Porfirio, De Antro
Nimpharum, Milano 1974, XIX ).
40 “Principio della giustizia è dunque la comunità sociale, l’uguaglianza e una
stretta unione in guisa che tutti sentano allo stesso modo come se formassero un
sol corpo e una sola anima” (Giamblico, Vita pitagorica, op. cit., XXX, 167)
41 “What makes a just and perfect Lodge? A Master, two Wardens, four Fellows,
five Apprentices, with Square, Compass, and Common Gudge” (sic). In A Mason’s
Examination, pubblicato l’11—13 aprile 1723 in The Flyng—Post or Post—Master,
oggi raccolto in Early masonic Cathechisms, ed. by H. Carr, 1963, p. 73.
42 H. A. Francken, Francken Manuscript 1783, op. cit., p 110.
43 A. G. Mackey, A lexicon of Freemasonry, op. cit., ad vocem. Mackey era
insignito del 33° grado del Rito Scozzese.
44 “The Lodge, styled a Supreme Tribunal, is hung in white. There are ten gilded
columns, and the words «Justitia» and «Equitas» in the East, as well as the
Tetractys of Pythagoras” (C. T. McClenachan, 33°, The Book Of The Ancient And
Accepted Scottish Rite Of Freemasonry: Containing Instructions In All The
Degrees, From The Third To The Thirty—Third, And Last Degree Of The Rite, New
York, 1914, Macoy Publishing and Masonic Supply Company). Nei rituali del
Supremo Consiglio scozzese del 1804 non si menziona la tetraktys. Essa appare in
A. Pike, Magnum Opus, 1857, p. XXXI, 1.
45 S. Prichard, Masonry Dissected being a Universal and Genuine description of
all its Branches from the Original to this Present Time. As it is deliver’d in
the Constituted Regular Lodges both in City and Country…, London 1730, printed
for J. Wilford.
46 Prichard insinua che si tratti d’un’impostura: “but if after the Admission
into the Secrets of Masonry, any new Brother should dislike their Proceedings,
and reflect upon himself for being so easily cajoled out of his Money…”; “of all
the Impositions that have apper’d amongst Mankind, none are ridicolous as the
Mistery of Masonry…” (S. Prichard, Masonry Dissected…, in Early masonic
Cathechisms, op. cit., pp. 160 e 170).
47 A Defence of Masonry, Occasion’d by a Pamphlet called Masonry Dissected.
Printed for J. Roberts, mdccxxxii. Il testo venne pubblicizzato nel Daily Post
del 15 dicembre 1730, mentre reca sul frontespizio la data del 1731 (Cfr. la
riproduzione in aqc xxvi, p. 240 sgg.). Gould lo attribuì a Martin Clare, che
preparò un discorso concernente Prichard, menzionato nelle minute del 1733 della
Loggia n. 73 di Lincoln (R. F. Gould, The Concise History of Freemasonry, 1920
2, p. 218). Tuttavia Wonnacot ha dimostrato che l’identificazione del discorso
di Martin Clare con la Difesa della Massoneria non è cosa certa (aqc xxviii, pp.
80—86). Che A Defence of Masonry fosse considerata la risposta “ufficiale” a
Prichard è dimostrato dal suo inserimento nell’edizione delle Costituzioni
andersoniane del 1738. Nello stesso anno viene incluso anche nel Pocket
Companion for Free—Masons di Smith.
48 Ibid., cap. IV, p. 219.
49 “…Free—Masonry, as published by the Dissector, is very nearly allied to the
old Pythagorean Disciple; from whence I am persuaded it may in some
Circumstances very justly claim its Descent…” (A Defence od Masonry, Early
masonic Cathechisms, op. cit., p. 216)
50 Il silenzio pitagorico sarà uno dei leit—motiv della letteratura massonica
sul sodalizio. Tra i tanti casi il più prossimo al 1730 è Ahiman Rezon: “Thus,
in the school of Pythagoras, we find it was a rule that every novitiate was to
be silent for a time, and refrain from speaking, unless when a question was
asked; to the end that the valuable secrets which he had to communicate might be
the better preserved and valued”.
51 A Defence od Masonry, in Early Masonic Cathechisms, op. cit., p. 217. In nota
è menzionato il commento di Proclo a Euclide, divenuto noto in Inghilterra
tramite la prefazione di John Dee a Euclide (Mathematicall Preface, in The
Elements of Geometrie of the most auncient Philosopher Euclide of Megara, London
1570). Peter French ha segnalato “curiose somiglianze tra le Constitutions of
the Freemasons di James Anderson e la Mathematicall Preface di John Dee” (P.
French, John Dee. The world of an Elizabethan Magus, 1987, Ark edition, p. 161
in nota).
52 Ibid., p. 218: “But before he (l’iniziato alla società essenica, n.d.a.) was
receiv’d as an establish’d Member, he was first to bind himself by solemn
Obligation and Professions, to do Justice…”; il corsivo è nel testo originale.
Le informazioni sull’importanza della Giustizia presso gli Esseni, presso cui il
capo era chiamato “Maestro di Giustizia”, derivano da Guerre giudaiche, 2, VIII,
di Giuseppe Flavio: “questi uomini conducono lo stesso stile di vita che tra i
Greci ha ordinato Pitagora”.
53 La correlazione postulata in A Defence of Masonry verrà ripresa e ribaltata:
Oliver giungerà ad affermare con disinvoltura che Pitagora fu “iniziato nel
sistema ebraico della frammassoneria” (Landmarks, vol. II, p. 412) e Mackey con
analoga disinvoltura lo segue: “Pitagora derivò dagli Esseni molta se non tutta
la propria conoscenza” (A. G. Mackey, A lexicon of Freemasonry, 1869 ad vocem
Antiquity of Masonry). In Mackey, Encyclopedia of Freemasonry invece, precedente
al Lessico, non si cita Pitagora.
Sulla base di queste presunte e disinvolte correlazioni, che enfatizzano
Giuseppe Flavio, s’è generato un ricco filone di fantamassoneria ch’è divenuto
molto proficuo: La chiave di Hiram, best seller costruito trasformando
allegramente leggende e miti massonici in un racconto pseudo storico, porta a
iperbole le disinvolture di Oliver e Mackey, e allegramente favoleggia di
rituali massonici redatti da Cristo e gli Esseni.
54 Alcune notizie è necessario aggiungerle. Tra i Platonici inglesi Henry More
certamente seguiva la linea pitagorizzante del Platonismo, ed ebbe influenza sul
giovane Newton (vedi nota 58). Bisognerebbe indagare inoltre su Thomas Tryon, a
cui Alex Gordon ha dedicato nel 1871 una biografia dall’eloquente titolo: A
Pythagorean of the seventeenth century. Di Tryon suppongo che convenga leggere
The Way to Health, del 1691, che evidentemente tratta della salus o ygeia
pitagorica, il fine dell’ascesi iniziatica. Nel 1657 esce un’edizione inglese
del commento di Ierocle ai Versi aurei: J. Hall (of Gray’s Inn), Hierocles upon
the Golden Verses of Pythagoras … Englished by J. H., 1657.
Ulteriore testimonianza della fortuna del Pitagorismo nella massoneria
simbolica, successiva alla pubblicazione delle Costituzioni del 1723, è la
traduzione in Inglese del saggio di Cocchi sul Vitto Pitagorico: The Pythagorean
diet, of vegetables only, conducive to the preservation of health, and the cure
of diseases. A discourse delivered at Florence, in the month of August, 1743, by
Antonio Cocchi, … Translated from the Italian. London, printed for R. Dodsley,
and sold by M. Cooper, 1745. Cinque anni dopo il saggio di Cocchi verrà tradotto
in Francese, a Ginevra. Antonio Cocchi fu iniziato nella fiorentina Loggia degli
Inglesi il 4 agosto del 1732: è il primo Italiano la cui iniziazione alla
massoneria sia documentata (Cfr. C. Francovich, Storia della Massoneria in
Italia dalle origini alla Rivoluzione Francese. Firenze 1974). Fu il medico
personale di Theophilus Hastings, conte di Huntingdon. Negli anni ’40 sarà a
Londra.
55 “Dr. Desagulier… was the «father of the Grand Lodge System» and was one of
Sir Isaac Newton’s closest friends. A Lodge largely composed of Royal Society
members met in a room belonging to the Royal Society Club in London. At a time
when preachers thundered against these scientists, when newspapers thundered
against them, street crowds hooted at them, and neither Oxford nor Cambridge
would admit science courses, Masonic Lodges invited Royal Society members in for
lectures, many of which were accompanied by scientific demonstrations....” (H.L
Haywood, Supplement to Mackey’s Encyclopedia of Freemasonry, Richmond, Virginia
1966, Macoy Publishing, p. 1363).
Come sperimentatore della Royal Society Desaguliers svolse il cruciale ruolo di
divulgatore delle teorie newtoniane, e nel 1734 pubblicò un corso di filosofia
sperimentale più volte ripubblicato in seguito (J. T. Desaguliers, A Course of
Experimental Philosophy, London, 1734, 2 vols. pp. XII + 463. XV + 568, 78
plates). È meno noto che Desaguliers ha un significativo ruolo alle origini
della rivoluzione industriale: con Daniel Niblet e William Vreem ottiene da Re
Giorgio ‘esclusiva’ nel 1720 per un brevetto d’una macchina a vapore (Heating by
Steam for various Manufacturing Purposes, brevetto n. 420 del 1720).
Estremamente significativo il poema allegorico in cui il pastore presenta il
sistema newtoniano come “modello di governo”: J. T. Desaguliers, The Newtonian
System of the World, the Best Model of Government, an Allegorical Poem.
Westminster: Printed by A. Campbell for J. Roberts, 1728.
Sempre a lui dobbiamo l’introduzione alla filosofia newtoniana (J. T.
Desaguliers, Introduction to Sir Isaac Newton's philosophy) e la traduzione
inglese dell’introduzione di Gravesande alla filosofia newtoniana (Mathematical
elements of natural philosophy confirm'd by experiments: or an introduction to
Sir Isaac Newton's philosophy, written in Latin by William James's Gravesande;
translated into English by J.T. Desaguliers). Tradusse anche testi d’idrostatica
(Mariotte Edme., The Motion Of Water And Other Fluids: Being a Treatise of
Hydrostaticks, Translated by J.T. Desaguilers) e di “meccanica del fuoco” del
Francese Gauger. Le sue macchine sono raccolte nel museo di Fisica
dell’Università di Coimbra e una, il “Tribometro”, si può osservare anche nel
gabinetto fisico della “Sapienza” di Roma.
56 Basta leggere le prime righe per rendersene conto: “Adamo, progenitore di
tutti noi, creato a immagine di Dio, il Grande Architetto dell’Universo, deve
avere avuto le Scienze Liberali, in particolare la Geometria, inscritte nel
cuore; i princìpi di quest’ultima, infatti, saranno fin dalla Caduta nei cuori
stessi dei suoi discendenti, e con l’andar del tempo verranno organizzati in
maniera acconcia secondo il metodo delle proposizioni, in conformità alle leggi
della proporzione tratte dall’osservazione della Meccanica. Di conseguenza, le
Arti meccaniche hanno offerto ai dotti la possibilità di sintetizzare in un
Metodo gli elementi della Geometria, Scienza nobile che, distillata in tal modo,
rappresenta il fondamento di tutte le altre Arti (in particolare della Muratoria
e dell’Architettura) e la regola che ne stabilisce i canoni e le applicazioni”.
I riferimenti ai principî della geometria, così come alle proposizioni e infine
all’osservazione della meccanica non potevano non suonare, nel lettore
dell’epoca, affini ai Principia mathematica newtoniani, articolati per
proposizioni, e agli sviluppi meccanici che ne derivavano.
57 Cfr. E. Garin, Rinascite e rivoluzioni. Movimenti culturali dal XIV al XVIII
secolo, Bari 1975 (e 1992), p. XIV.
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