ULIVELLA
(Lewis / Louveteau) Le parole Lewis in inglese e
Louveteau in francese, che nel loro significato originario implicano
concetti tutt’affatto differenti hanno, in massoneria, spiegazione
equivalente, la prima essendo usata in Inghilterra e la seconda in
Francia a significare il figlio di un massone.
La parola inglese
Lewis (ulivella) è
termine che appartiene alla massoneria
operativa,essendo questo un supporto di ferro che,
inserito in un’apposita cavità di una pietra, permette di sollevarla
all’altezza desiderata per mezzo di una puleggia e di un gancio, e
depositarla nella posizione voluta.
In questo paese quella parola non è stata adottata
come simbolo della frammassoneria ma nel rituale inglese la si ritrova
tra i simboli che appaiono sulla Tavola di Tracciamento dell’Apprendista
Ammesso, essendo usata in quel grado come simbolo di forza perché, per
mezzo di questa il massone operativo riesce a sollevare le pietre più
pesanti usando una minima quantità di forza fisica.
Estendendo vieppiù l’allusione simbolica, il figlio di
un massone, in Inghilterra è chiamato “ Lewis”
essendo suo dovere il sorreggere il proprio padre nella vecchiaia o, per
dirla con le parole dell’Oliver, “sostenere
il fardello e la calura del giorno, che i suoi genitori possano così
riposarsi nella loro vecchiaia, rendendone pacifico e felice il tramonto
della vita”.
Le costituzioni inglesi permettono al figlio di un
massone di essere iniziato all’età di diciotto anni, mentre tutti gli
altri candidati debbono raggiungere quella, più matura, di ventuno anni.
Il Libro delle Costituzioni prescrive che nessuna loggia possa iniziare
“alcun uomo sotto l’età di ventuno anni,
eccetto per dispensa
del Gran Maestro e del suo Deputato”. La
Gran Loggia d’Inghilterra, nelle sue regole più
moderne, fa uso della licenza permessa da questo potere di dispensa per
conferire il diritto dell’iniziazione precoce dei figli di Massoni.
La parola
Louveteau significa
invece, in francese, lupetto, e l’applicarla al figlio di
un massone deriva da una
particolarità contenuta in alcune delle iniziazioni negli antichi
misteri. Nei misteri di Iside, così com’erano praticati in Egitto, al
candidato era posta una maschera raffigurante la testa di un lupo,
perciò le parole lupo
e candidato
erano spesso usate, in quei
misteri, come termini
sinonimi. Macrobio, nel suo
Saturnalia, con riferimento a
quest’abitudine, afferma che gli
antichi percepissero una
relazione tra il sole, gran simbolo di questi misteri, e un lupo,
rappresentato dal candidato al momento della
sua iniziazione. Questo perché, egli afferma, così come il gregge degli
armenti sbanda e si disperde alla vista del lupo, il gregge delle stelle
sparisce all’avvicinarsi della luce del sole. Non sfuggirà al lettore
istruito il fatto che in lingua greca lukos
abbia il doppio significato di sole e lupo.
Da qui, così come il candidato ai
misteri isiaci era chiamato lupo, il figlio di un frammassone di
rito francese è chiamato lupetto o
louveteau.
Il lupetto in Francia, come il
lewis in Inghilterra possiede particolari prerogative.
Anch’egli si può unire all’ordine alla giovane età di
diciotto anni.
Il suo battesimo è talvolta eseguito dalla loggia
della quale il padre è membro, per mezzo di toccanti cerimonie.
L’infante, subito dopo la nascita, è portato in loggia dove riceve un
nome massonico, diverso da quello che porterà nel mondo; egli è
formalmente adottato dalla loggia come uno dei suoi figli, e qualora
dovesse rimanere orfano e bisognoso d’assistenza egli sarebbe aiutato e
educato dalla fratellanza, e decorosamente “sistemato” nella vita.
In questo paese le prerogative di un lupetto non sono
riconosciute, e perfino il nome era misconosciuto, tranne che a pochi
studiosi massonici.
Strumento
metallico da sollevamento costituito da una robusta maniglia terminante in
due occhielli, due mezzi cunei, un elemento centrale prismatico e un perno
di chiusura. Alla maniglia sono assicurate le funi impiegate per il
sollevamento, a loro volta collegate ad un argano. Si usa inserendo
nell’alloggiamento praticato sulla pagina superiore di un blocco lapideo i
due cunei laterali a sezione trapezoidale e immettendo poi tra loro il
terzo a profilo quadrangolare. Questo consente di esercitare la pressione
necessaria a rendere perfettamente solidali i tre elementi. Al perno
passante per gli occhielli della maniglia è affidato il compito di
bloccare l’ulivella nel blocco lapideo.
Con gli edifici monumentali i problemi scientifici diventano impellenti.
Gli edifici della ionia sono i più significativi. A partire dal cantiere
di Samo (la 3° ricostruzione 570 a.C.) si prende spunto dalle esperienze
mesopotamiche ed egizie. Con Roikos e Theodoros si affronta il problema
delle fondazioni. Plinio dice che venne eseguita una palificazione. Con
questo tempio nasce il tornio per realizzare le colonne.
Doveva anche esistere un'apparecchiatura per il sollevamento dei blocchi.
Il termine "gru" deriva da un termine greco. Le gru antiche
derivavano da quelle dei cantieri navali, vennero inventata nella Magna
Grecia. Il braccio poteva ruotare di 180 gradi. Il movimento del braccio
era ottenuto con un argano. Le carrucole sono un'altra invenzione
di questo periodo. I blocchi erano sollevati da corde che passavano in
apposite asole scavate nel blocco.
Oltre alla gru si usava anche il treppiedi (capra). All'inizio si
usa il duepiede con l'argano (ci sono dei bassorilievi di epoca romana).
Vi erano argani molto grandi, formati da una ruota in cui
camminavano due uomini. Questi sistemi sono stati utilizzati probabilmente
per la costruzione del Colosseo.
I
limiti del treppiedi appaiono in Ionia, quando si dovettero sollevare
architravi di 26 tonnellate ad un'altezza di 20 metri. Per queste
costruzioni, all'inizio si ricorre alla tecnologia egizia del terrapieno.
Plinio parla dell'utilizzo di otri. Un terrapieno contenuto da una
palizzata ingloba le colonne. Il blocco è trascinato su di un piano
inclinato con dei buoi fino in cima alle colonne. Poi veniva posato
l'architrave su di un piano che si inclinava mediante la fuoriuscita dalla
sabbia da degli otri.
Plinio cita poi un sistema di ruote applicate ai blocchi per il loro
trasporto in cantiere. Sul blocco si praticavano dei fori in
corrispondenza dei perni e sulle pareti. Su quelli delle pareti
probabilmente veniva montata una ruota in legno. I perni erano vincolati
ad una struttura fissa trainata da buoi. In realtà questo sistema ha delle
obiezioni:
alcuni blocchi erano troppo lunghi (anche 6 metri), non c'erano strade
così larghe.
Un'altra soluzione prevede di utilizzare il blocco come elemento
principale di un carro.
Il blocco poteva essere sollevato con delle corde applicate a delle
apposite asole scavate nel blocco stesso. Si potevano anche
lasciare sulle facce esterne dei blocchi delle protuberanze a cui venivano
agganciate le funi. Oppure per esempio nei capitelli, si praticavano dei
fori passanti in cui si inserivano le corde. Un altro ancora è quello che
prevede l'uso di tenaglie metalliche, usate poi anche dai romani.
Praticando piccoli fori nei blocchi si potevano sollevare grandi pesi.
Un altro sistema utilizzato anche dai romani, è quello
detto dell'ulivella: questa ha il
vantaggio a differenza degli altri di consentire il posizionamento dei
blocchi senza doverli sollevare successivamente per sfilare le corde dai
vari agganci.
Il ruolo della sperimentazione nell'evoluzione delle strutture
dall'Ellenismo al Rinascimento
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